martedì, Luglio 5, 2022
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La pièce de Il profumo dell’ultimo tango

Ah, l’Argentina! Il paese del tango, di Maradona, di papa Bergoglio, dell’asado!

Ah, l’Argentina! I nostri cari paisà d’oltreoceano.

Oggi se ci andate in Argentina, o meglio a Buenos Aires, metropoli da 14 milioni di abitanti, non vi dovete sforzare a parlare spagnolo o inglese, è sufficiente il vostro italiano: il 50% di quella nazione ha origini italiane, cioè 20milioni.

C’è stato però un periodo in cui non si facevano distinzioni tra argentini e italiani. Le torture erano uguali per tutti. È il periodo della cosiddetta Guerra Sporca, un programma di repressione violenta attuato in tutto il Sudamerica durante gli anni Settanta, orchestrato dalla Cia americana: il bersaglio da colpire erano i sovversivi, i guerriglieri d’ispirazione comunista e socialista, presto esteso anche a qualsiasi forma e tipo di protesta, non facendo sconti negli ambienti culturali, politici, sociali, sindacali e scolastici.

‘Il profumo dell’ultimo tango’ è una performance che unisce e fonde i linguaggi della narrativa, del teatro, della musica e della danza in uno spettacolo unico, di grande impatto emozionale della durata di 90 minuti. Tratta dal romanzo con il medesimo titolo di Gian Luca Campagna, a sua volta ispirata alle vicende drammatiche vissute dalla popolazione argentina durante gli anni della dittatura militare degli anni ’70, affronta la storia di un’indagine dove ci si emoziona a ogni passo, scoprendo un Paese uguale alla nostra Italia, con le sue bellezze e le sue contraddizioni.

Una voce narrante vi condurrà con passi lenti e ritmati in un’altra dimensione, insieme a tangueros d’eccezione, a fisarmonicisti unici, ad attori che vi faranno vibrare l’anima, catapultandovi in un mondo dove il filo che unisce la vendetta, il perdono e la giustizia resta ancora oggi molto sottile. La performance è adattata sia per il palco dei teatri che per i palchi delle scuole.

LA TRAMA – Buenos Aires, giugno 1978. In nome dell’orrore l‘Argentina della junta militar si prepara al trionfo dei Mondiali di calcio, gli oppositori e i dissidenti alla dittatura vengono prelevati dalle case e fatti sparire nel nulla. Sono i desaparecidos.

Buenos Aires, giugno 2018. Scompaiono senza lasciare traccia degli adolescenti, sono i nuovi desaparecidos. Josè Cavalcanti, investigatore privato che trasforma nell’ora di pranzo il suo pied à terre in un’alcova per gourmet, è ingaggiato da una sua ex fidanzata per ritrovare il figlio adolescente scomparso. Nella cornice di notti etiliche, ritmate da tanghi malinconici, tra ufficiali in pensione, spie sempre in azione, magistrati politicizzati, prostitute sotto mentite spoglie, dottori della morte pentiti, operai senza futuro, immigrati italiani nostalgici, Cavalcanti scoprirà che i ragazzini scomparsi sono parenti dei militari sostenitori della junta militar. Ma chi li ha rapiti e perché? Qual è la sorte che li attende? C’è in atto una legge del contrappasso che prevede una vendetta trasversale e anacronistica? In sella al suo sidecar Ural, con l’aiuto-chef Cholo e i due dogo Clan & Destino, Cavalcanti scoprirà una verità tragica e amara… Giustizia, vendetta e perdono danzano su un filo sottile che rischia di spezzarsi a ogni alito d’azione in una Buenos Aires che il pubblico sentirà vicina per suoni, parole, emozioni e dove vibreranno forti le parole per il rispetto dei diritti umani in nome del Nunca más.

MAI PIU’ – Nunca más (in spagnolo “mai più”) è il titolo del rapporto della Comisión Nacional sobre la Desaparición de Personas argentina del settembre 1984. Voluto dal neopresidente Raúl Alfonsín per  indagare sulle migliaia dei casi di desaparecidos (scomparsi) avvenuti durante la dittatura militare dal 1976 al 1983, riportava testimonianze su sequestri, torture ed eliminazioni di oppositori messi in atto dalle autorità militari. Il rabbino Marshall Meyer lanciò l’idea di chiamarlo «Nunca más» perché fu l’espressione usata per i sopravvissuti all’insurrezione del ghetto di Varsavia dopo le atrocità commesse dai nazisti nella Seconda guerra mondiale. Durante la dittatura argentina (ma in tutto il SudAmerica attraverso il Piano Condor) i diritti umani furono violati in forma organica, sistematica e statale attraverso la repressione, con una strategia del terrore pianificata ad alto livello. Già prima del colpo di Stato del 24 marzo 1976 si utilizzò in alcuni casi la sparizione di persone come metodo repressivo; una volta che le Forze Armate usurparono il potere acquisendo il controllo assoluto dello Stato, questo metodo fu adottato in modo generalizzato. Si cominciava col sequestro della vittima da parte di effettivi delle Forze di Sicurezza che evitavano di identificarsi, i sequestrati erano condotti in uno dei 340 centri di detenzione clandestini, lì venivano torturati e vessati per avere informazioni su chi tramava contro lo Stato. La sorte dei detenuti era terribile: chi non moriva per le torture o per strada dopo aver simulato scontri a fuoco o tentativi di fuga, veniva assassinato attraverso i voli della morte, cioè gettati vivi in mare sotto l’effetto di sostanze soporifere. Oggi, si contano 30mila desaparecidos.

LA MEMORIA, L’ANTIDOTO CONTRO L’INDIFFERENZA – Ecco, l’unico modo per non dimenticare è usare la memoria come antidoto all’indifferenza ma anche contro l’ipocrisia, difendendo i diritti umani come diritti naturali e inalienabili, senza discriminazioni di pensiero, sesso, razza, religione, orientamento politico. Quindi una performance artistica che celebra i diritti umani in quanto tali attraverso un linguaggio agile, attuale e semplice, fondendo diverse discipline artistiche, di grande impatto emotivo e pedagogico nei confronti degli studenti, dalle scuole medie agli istituti superiori. Perché le scuole? Perché proprio gli studenti, dei ragazzini, furono le prime vittime della violenza repressiva dello Stato argentino che stava cambiando pelle: a La Plata, nella notte del 16 settembre 1976, agenti della Polizia sequestrarono, torturarono e uccisero dieci studenti delle scuole superiori, colpevoli di “attività atee ed anti nazionaliste”, che protestavano contro l’abolizione del tesserino che consentiva agli studenti liceali sconti sul prezzo dei libri di testo e una riduzione del biglietto per l’utilizzo dell’autobus.

Non solo Giornata della Memoria il 27 gennaio per ricordare l’Olocausto, non solo Giornata del Ricordo il 10 febbraio per ricordare l’eccidio delle foibe, perché la follia dell’uomo non conosce memoria e dobbiamo sempre agire con la memoria del ricordo perché è il solo grande antidoto contro l’indifferenza.

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